Position paper #3

Documento programmatico sulla giustizia

Introduzione

La situazione attuale dei percorsi di assistenza psichiatrica per i soggetti con disturbo mentale in ambito penale appare particolarmente problematica per la ricaduta sui DSM e sul sistema complessivo della sanità pubblica, anche alla luce dei recenti cambiamenti legislativi che, come evidenziato recentemente dalla giurisprudenza costituzionale (Corte Costituzionale, sentenza n. 22 del 2022), hanno lasciato numerosi punti irrisolti.

La legge 81/2014 presenta una notevole fragilità sia di impianto normativo, poggiando unicamente sul D.L 211 del 2011, sia di incompletezza riguardo al ruolo mancante della Giustizia nella organizzazione delle REMS, così come sottolineato dalla sentenza 22/2022 della Corte costituzionale.

L’imponente ricaduta sui Servizi, in un momento storico di gravi difficoltà di risorse per i DSM, ha sollevato un acceso confronto sull’organizzazione dei percorsi per i pazienti autori di reato e contestualmente stimolato proposte di revisione di un Codice penale datato, indicando la necessità di una riforma organica complessiva.

Criticità dell’evoluzione normativa

A seguito di numerosi provvedimenti di legge e indirizzi giurisprudenziali che hanno previsto prima il passaggio della sanità penitenziaria alle ASL (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 1° aprile 2008), poi l’eventuale non imputabilità anche dei soggetti affetti da disturbo di personalità (Cassazione Penale - Sez. unite - sentenza n. 9163/2005), la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (Legge 30 maggio 2014, n.81) e l’apertura delle Residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza (REMS), il nostro paese vive oggi una situazione di grave difficoltà per la salute mentale dei soggetti detenuti (rei folli) e dei non imputabili (folli rei).

Appare quindi necessario proporre cambiamenti organizzativi e legislativi che intervengano sulle strutture carcerarie e sul codice penale, per garantire sia il diritto alla salute dei malati psichiatrici, siano essi “rei folli” o “folli rei”, dall’altro la sicurezza degli operatori del Servizio Sanitario Nazionale e dell’intera collettività.

Dai report regionali sulla salute in carcere (per le Regioni dotate di Sistema informativo regionale) emerge infatti che circa il 10-15% della popolazione detenuta in Italia risulta affetta da disturbo mentale grave. Si tratta di circa 6.000-9.000 detenuti su una popolazione complessiva di circa 60.000 detenuti. Attualmente nell’ordinamento giuridico italiano è previsto un doppio binario per i soggetti affetti da un disturbo mentale che abbiano commesso un reato, in funzione della relazione stabilita tra la condizione psichica del soggetto al momento del reato ed il reato stesso. Nel caso sia rilevata una diretta correlazione tra patologia psichiatrica e la commissione di reato si configura il caso del “folle reo”; qualora invece la patologia psichiatrica sia subentrata in un secondo momento o la stessa non sia stata riconosciuta direttamente collegabile al reato, si configura il caso del “reo folle”. Per entrambe le categorie il Codice Penale Rocco del 1930 aveva previsto l’internamento nei Manicomi criminali, successivamente denominati Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG).

Con la riforma della Sanità Penitenziaria (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 1° aprile 2008) e la successiva riforma per il superamento degli OPG (Legge 30 maggio 2014 n.81), per le due categorie rappresentate dai “folli rei” e dai “rei folli” sono stati definiti percorsi trattamentali e giuridici profondamente differenziati. I “folli rei” sono riconosciuti come non imputabili e, pertanto, la norma pone al centro la necessità di cura e la contemporanea garanzia sulla sicurezza della comunità, demandando al sistema sanitario anche funzioni prettamente custodiali che, per mancanza di mezzi e di competenze, non possono essere proprie degli operatori del Servizio Sanitario Nazionale. L’altra popolazione, costituita dai “rei folli”, quindi imputabili, rientra direttamente nel circuito penitenziario, in cui la garanzia della cura deve essere assicurata nei luoghi detentivi o ricorrendo alle misure alternative ove previste. L’attribuzione ad una categoria di soggetti o all’altra è determinata non solo da aspetti prettamente clinico-giuridico-forensi, ma anche dalle possibilità di difesa, quindi economiche, e di conoscenza della legislazione italiana, quindi culturali. Circostanza questa che mette in luce il dramma di un sistema penale che discrimina le fasce più deboli della popolazione.

Oggi le funzioni di custodia e sicurezza per i non imputabili socialmente pericolosi sottoposti a misure di sicurezza detentive e non detentive sono assegnate esclusivamente al Dipartimento di Salute mentale (DSM), a detrimento delle funzioni di cura degli altri pazienti psichiatrici e con livelli di responsabilità professionali non giustificate e ingestibili sia sul piano della sofferenza personale che su quello dell’assenza di strumenti adeguati1.

Si tratta di un aspetto che compromette, troppo spesso, l’incolumità degli operatori della salute mentale. Da un’indagine condotta dal Coordinamento Nazionale dei Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura (SPDC), su 2600 professionisti della salute mentale, di cui 1400 psichiatri, il 49% ha subito violenza durante il lavoro nel corso degli ultimi due anni e il 57% degli psichiatri sente a rischio la propria incolumità sul lavoro.

La riforma del 2014 ha previsto che i soggetti imputabili espiassero la pena in carcere in sezioni specialistiche dedicate; successivamente la giurisprudenza costituzionale (Corte Costituzionale, sentenza n. 99 del 2019) ha aperto alla possibilità di accedere a misure alternative per garantire anche ai soggetti con disturbo mentale l’accesso ad eventuali trattamenti esterni, così come previsto per i soggetti con gravi patologie fisiche.

La Conferenza Unificata del 22 gennaio 2015 (Accordo ai sensi dell’art.9, comma 2 lett. C del D.L. 28/8/1997, n.281 sul documento “Linee guida in materia di modalità di erogazione dell’assistenza sanitaria negli istituti penitenziari per adulti; implementazione delle reti sanitarie regionali e nazionali”), ha individuato alcune sezioni specificatamente dedicate ai disturbi mentali ed altre sezioni per i tossicodipendenti.

Nonostante la presenza di un numero sempre maggiore di persone con una co-morbilità tra disturbo mentale e disturbo da uso di sostanze, non sono al momento identificate sezioni che possano rispondere adeguatamente alle esigenze di cura di questa popolazione.

Le sezioni specialistiche per disturbo mentale sono presenti in 33 istituti penitenziari, con circa 320 posti, che corrispondono a circa lo 0,5% della popolazione detenuta, a fronte di una presenza stimata del 10-15% di persone con disturbo mentale grave in carcere.

Un divario enorme, quello tra i “rei folli” e i posti letto loro destinati in sezioni dedicate all’interno delle carceri, che deve essere necessariamente colmato predisponendo un impegno di personale e risorse dedicati. Necessita di essere riformata anche la normativa relativa alla non imputabilità, invariata dal 1930, che associa la non imputabilità all’incapacità di intendere e volere al momento del fatto reato. Le funzioni mentali sottostanti tali capacità sono primariamente di ordine cognitivo; la capacità di intendere si riferisce alla capacità di comprendere il significato delle proprie azioni e la realtà esterna, presuppone la capacità di pianificazione e di comprensione della mente altrui. Il volere presuppone la capacità di controllo cosciente delle proprie azioni e la possibilità di inibizione dell’automatismo di azione. Tali funzioni cognitive, unitamente alle funzioni emotive e relazionali, costituiscono il focus di ogni trattamento clinico, che però in questi casi è (obbligato dall’Autorità giudiziaria indipendentemente dalla presa di coscienza di una necessità individuale) reso indipendente dall’acquisizione della responsabilità individuale. Nei casi di non imputabilità, il trattamento sanitario è disposto in funzione della tipologia di misure di sicurezza stabilite dall’Autorità Giudiziaria, anche in base alle valutazioni effettuate dai Consulenti Tecnici di Ufficio.

Le misure di sicurezza detentive determinano il ricovero in REMS, mentre le misure non detentive determinano la realizzazione di trattamenti sanitari nei circuiti ordinari della salute mentale (ambulatoriali, semi-residenziali, residenziali). Il trattamento è quindi realizzato in circuiti unicamente sanitari, nonostante la presenza di una pericolosità che determina la misura di sicurezza. Questo comporta un’inefficace mistura tra controllo e cura con elementi costrittivi che impediscono la libera scelta del paziente e la capacità di cura del gruppo di lavoro.

La Conferenza Unificata del 26 febbraio 2015, ha definito le linee attuative del D.M. 1 ottobre 2012 per il definitivo superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari; all’art. 6 si specifica in relazione ai "Requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi", che i servizi di sicurezza e vigilanza perimetrale delle strutture sanitarie sono attivati sulla base di specifici Accordi con le Prefetture, anche sulla scorta delle informazioni contenute nel fascicolo dell'internato.

Sul piano dell’organizzazione della sicurezza interna le strutture sono chiamate a dotarsi di sistemi di sicurezza congrui, ma coerenti alla mission sanitaria della residenza.

È tuttavia possibile identificare marcate differenze nella dimensione ordinaria e quotidiana della sicurezza, ad esempio per quanto attiene al personale di vigilanza, con evidenti ricadute sulla esperienza terapeutica dell’utente e della sicurezza degli operatori.

Ma se è vero che le scelte organizzative in materia di sicurezza interna delle REMS restano in capo al Responsabile sanitario, va detto che non tutto ciò che è nei poteri dello psichiatra rientra anche tra i suoi doveri, i quali devono essere limitati anche in considerazione della complessità in cui il medico e gli operatori si trovano ad operare.

Tra i diversi modelli organizzativi delle REMS alcuni emergono (es. le REMS di Caltagirone) per la capacità di funzionare sul modello della comunità terapeutica con apertura rispetto al territorio di incidenza (es. attività esterne individuali e gruppali degli ospiti).

In seguito alla chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari si è registrato un grave abuso del ricorso alla non imputabilità per categorie diagnostiche, come i disturbi di personalità, che non corrispondono all’incapacità di intendere e volere. Ciò ha comportato un enorme e improprio ricorso al ricovero in REMS, con liste di attesa lunghissime, come stigmatizzato dalla Suprema Corte (Corte Costituzionale, sentenza n.22 del 2022) un contemporaneo aumento dei soggetti detenuti sine titulo, per i quali l’Italia è incorsa in un procedimento della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 24 gennaio 2022 - Ricorso n. 11791/20 - Causa SY c. Italia), e un numero ancora più grande di soggetti autori di reato non imputabili assegnati alla responsabilità dei sanitari dei DSM, con gravi rischi per la sicurezza, un indebito incremento della responsabilità professionale e una definizione di protocolli di trattamento impropri, perché provenienti da elementi extra-clinici. La riduzione della platea dei soggetti non imputabili avrebbe come effetto immediato l’abbattimento delle liste di attesa per le REMS e quindi migliori opportunità di cura per i soggetti autori di reato affetti da patologia grave.

Il Collegio Nazionale dei DSM si propone di migliorare la qualità dei servizi per la salute mentale attraverso proposte di modifica del codice penale e di garanzia di strumenti di programmazione, monitoraggio e finanziamento per tutta la salute mentale. Oltre a definire nuovi percorsi di assistenza psichiatrica per le persone con disturbo mentale in ambito penale, il Collegio esprime proposte per rispondere al dettato della Suprema Corte, per quanto concerne la legge n. 81 del 2014, al fine di riequilibrare la certezza della pena con la garanzia di cure appropriate sia all’interno degli istituti penitenziari che sul territorio.

Proposte

  • Il Collegio propone che i Ministeri della Salute e della Giustizia, con propri decreti, programmino e realizzino sezioni sanitarie specialistiche psichiatriche all’interno degli istituti penitenziari. In tali sezioni deve essere possibile effettuare trattamenti sanitari obbligatori (TSO), secondo la normativa vigente.
  • Il Collegio propone l’abrogazione immediata dell’articolo 89 del codice penale (vizio parziale di mente), dell’art. 203 del codice penale (pericolosità sociale di tipo psichiatrico), dell’art. 148 del codice penale (infermità psichica sopravvenuta al condannato).
  • Il Collegio propone le seguenti modifiche al codice penale in materia di imputabilità:
    1. all’art. 95 del codice penale (cronica intossicazione da alcol o da sostanze stupefacenti) le parole “e 89” sono soppresse.
    2. l’art. 88 del codice penale (vizio totale di mente) è sostituito dal seguente: “Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, è affetto stabilmente da grave alterazione stabile delle condizioni psichiche, di tipo psicotico e del comportamento ascrivibile ad un disturbo mentale o cognitivo grave, tale da escludere totalmente la capacità d’intendere o di volere”.

Vanno inoltre previsti:

  • risorse di personale ed economiche per i DSM
  • lavoro inter-istituzionale, dialogo, sinergie e stesura di protocolli con prefetture, Magistrati, Forze dell’Ordine, con formazione congiunta sugli interventi sui comportamenti critici e sicurezza
  • lavoro culturale ed organizzativo per garantire interventi d’èquipe multiprofessionale e multidisciplinare nell’ottica dell’integrazione socio-sanitaria e della SMC
  • rifiuto sistematico di ogni delega al controllo sociale attivando in campo e coinvolgendo altri attori (appropriatezza istituzionale)
  • appropriatezza dei luoghi e dei percorsi rispetto all’utilizza improprio di SPDC o di altre strutture del DSM
  • incremento sezioni ATSM in carcere
  • osservatorio e monitoraggio dati

1 Assistiamo complessivamente ad una espansione dell’azione giudiziaria, con incremento delle persone detenute (circa il +7% dal 2022 al 2023), incremento soprattutto (+16%) nell’area penale esterna. In incremento (+7,7 %) sono anche le misure di sicurezza non detentive. Complessivamente ci sono sul territorio circa 6.000 persone con misura di sicurezza su un totale di circa 800.000 utenti in carico ai DSM. Rispetto alle REMS, abbiamo a livello nazionale una lista d’attesa che supera gli attuali posti disponibili ed occupati (632 p.l. di cui il 40% con misure provvisorie, il 10% ex art. 219 e 42 detenuti sine titulo).