Salute Mentale tra visione e incoerenze: una lettura critica del PANSM 2025–2030 e l’opinione del Collegio Nazionale dei Dipartimenti di Salute Mentale

1. la Salute Mentale, un tema centrale che non può più restare ai margini ma che è fonte di fraintendimenti e confusione

«Non c’è salute senza salute mentale». Questa affermazione, oggi unanimemente condivisa, avrebbe sorpreso pochi decenni fa. Ma i dati parlano chiaro: crescono i disturbi psichici, in particolare tra giovani e adolescenti; aumentano i bisogni ma non l’offerta; si acuisce il divario tra domanda di assistenza e capacità di risposta.

In questo contesto è stato presentato il Piano di Azione Nazionale per la Salute Mentale 2025–2030, un documento atteso da oltre dieci anni, frutto del lavoro di un Tavolo tecnico del Ministero della Salute - rinnovato nell'aprile 2023 sull’onda emotiva del delitto Capovani - e del contributo di un numero elevato di soggetti auditi. Proprio da questi ultimi (mondo associativo, Università, Società scientifiche) provengono le critiche più numerose al testo, alla cui stesura avrebbero partecipato. 

Una approfondita lettura del PANSM e dei commenti che ha suscitato permette di comprendere sia i punti di forza sia le sue strutturali debolezze e incoerenze, che ci inducono a formulare una domanda imbarazzante: il PANSM è all’altezza delle sfide che pretende di affrontare?

2. I punti di forza: una cornice concettuale moderna

Non mancano elementi apprezzabili, riconosciuti anche da chi muove critiche puntuali. Tra i principali che possiamo sintetizzare vi sono:

  • Adozione del modello bio-psico-sociale: il Piano riconosce che la salute mentale è determinata da fattori biologici, psicologici, relazionali, ambientali e culturali, e come potrebbe fare diversamente? L’affermazione è importante, ma preferiamo verificarne l’applicazione nelle scelte concrete di politica sanitaria
  • Approccio One Mental Health: salute fisica, mentale e ambientale sono interconnesse. È un importante riferimento agli standard OMS e UE, che potrebbe aprire la strada a collaborazioni trasversali ad oggi ancora faticose. Occorre ora riempire la fortunata definizione di contenuti operativi 
  • Focus su infanzia, adolescenza e transizione all’età adulta: si riconosce la criticità della presa in carico nei passaggi tra NPIA e servizi per adulti, con proposte di équipe dedicate, peraltro già presenti nelle numerose esperienze dei servizi territoriali italiani in applicazione delle altrettanto numerose indicazioni e raccomandazioni. Ciò che manca ancora è una cornice istituzionale che le validi, ed un modello minimo di riferimento, che il PANSM stenta a declinare.
  • Innovazioni organizzative: lo psicologo di primo livello nelle microéquipe territoriali, il case management, la telemedicina e la prescrizione sociale. Si tratta di indicazioni che dovrebbero integrare le risposte in tutto lo spettro della salute mentale. Le innovazioni proposte rappresentano un importante step di indirizzo a futuri investimenti e progetti organizzativi, e in questo senso il PANSM è la cornice appropriata per indirizzare; la messa a terra delle linee di indirizzo tuttavia non è chiaramente definita e evidenzia notevoli criticità, come discusso più avanti.
  • Centralità della persona: l’utente non è solo paziente, ma soggetto attivo della cura, affiancato da famiglia, caregiver e operatori. Viene previsto un ruolo attivo e partecipe del cittadino/utente/paziente, che viene considerato elemento di un sistema complesso (familiare e sociale). Si tratta di un passo importante verso la destigmatizzazione dei pazienti con disturbo mentale e la riappropriazione dei completi diritti di cittadinanza, intesa non solo come diritti giuridici ma come diritti sociali reali. Anche in questo caso, tuttavia, l’affermazione avrebbe bisogno di una più compiuta operazionalizzazione
  • Integrazione sociosanitaria e Budget di Salute: viene ribadito e previsto il rilancio di strumenti per un welfare di prossimità. Sarebbe stato auspicabile un maggiore dettaglio dei modelli proposti, piuttosto che una semplice rassegna. Il documento ministeriale dovrebbe essere il documento madre delle linee operative per l’applicazione territoriale, attraverso la definizione di un minimum data set organizzativo. E questa non è mancanza da poco.

In sintesi, ad una prima lettura il PANSM delinea un impianto teorico avanzato e moderno, capace di raccogliere i migliori orientamenti della salute mentale contemporanea e rispettoso dei diritti del cittadino, ma pecca per l’assenza di indicazioni che rendano concreti i princìpi enunciati.

3. Le fragilità strutturali: un tempio senza fondamenta?

A una lettura più approfondita il Piano rivela contraddizioni e criticità profonde, alcune già accennate. Le criticità più gravi sollevate nel dibattito che è seguito alla sua diffusione possono essere così sintetizzate:

Un piano “senza gambe”: assenza di risorse dedicate

Il PANSM è dichiaratamente isorisorse: nessun finanziamento aggiuntivo, nessuna garanzia occupazionale. Una scelta che lo rende un documento di principio, e non quel documento operativo che tutti si aspettavano. Come osserva qualcuno, si tratta di un “libro dei sogni” di fatto incapace di incidere su servizi già al collasso e soffocati da assenze non sostituite, da aumento indiscriminato di richieste (a volte anche incongrue ma sempre più frequenti spesso a causa della confusione tra “disagio” e “malattia”, tra “prevenzione generalista” e altre forme di prevenzione, tra determinanti sociali e determinanti biologiche, e non ultimo dal sottofinanziamento non solo della sanità ma anche della rete sociale).

Salute mentale = psichiatria?

Nonostante la retorica dell’integrazione, del modello bio-psico-sociale e - da ultimo - della “one mental health”, il documento sembra ridurre spesso la salute mentale alla psichiatria dell’adulto, ignorando i bisogni neuropsichici, psicologici e socioriabilitativi di ampie fasce della popolazione. Alcuni specialisti dell’età evolutiva e delle altre aree del grande campo della salute mentale denunciano la marginalizzazione di interi settori come la neuropsichiatria infantile, la disabilità, la psicoterapia e le professioni riabilitative. Al netto delle già segnalate lotte per la sopravvivenza dei diversi attori del mondo della salute mentale (altro che integrazione!), che in una situazione di sofferenza si arroccano in difesa di porzioni di territorio invece che mettere in comune una forza contrattuale significativa, appare evidente che - anche per sua costituzione - il Tavolo tecnico abbia privilegiato un linguaggio più vicino alla psichiatria adulti che non allo spettro della salute mentale. 

Bambini e adolescenti: ancora invisibili

A questo vissuto di esclusione e di settorializzazione non è immune un’area che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto essere centrale. L’attenzione teorica all’età evolutiva non si traduce, infatti, in azioni concrete né in specifici obiettivi operativi, in particolare per le fasce 0–6 e 6–10 anni. Mancano investimenti nei servizi NPIA, nella formazione e nella diagnosi precoce, mentre nella realtà vengono segnalati aumenti negli accessi al pronto soccorso per manifestazioni di disagio (ancora una volta…) giovanile, soprattutto nell’ambito del discontrollo comportamentale (disturbi dell’alimentazione, comportamenti autolesivi, comportamenti suicidari, aggressività, abusi).

Psicologia di base dimenticata

Diversi attori dell’area psicologica denunciano l’assenza di una visione coerente sulla psicologia primaria, nonostante le leggi regionali, il DM 77/2022 e gli orientamenti OMS. Il Piano limita il ruolo dello psicologo a una funzione ancillare all’interno del DSM, ignorando il potenziale preventivo, educativo e di prossimità della psicologia territoriale. Certamente, un'integrazione con i citati e ormai operativi documenti sarebbe stata opportuna, anche per chiarire le reali afferenze e perimetrazioni di interventi professionali che, al momento, sono lasciati alla creatività ed improvvisazione locali. Il margine interpretativo permette di creare situazioni cosiddette “a canne d’organo”, in cui l’integrazione tra psicologico, medico e sociale salta, e salta soprattutto nelle fasi precoci del percorso che potrebbero interrompere la traiettoria di patologizzazione. Una presa di posizione più coraggiosa, che definisse perimetri operativi, organizzativi ed afferenze, era il minimo che ci si poteva aspettare dopo il lungo lavoro preparatorio del documento.

Lo stigma? Un paragrafo e via

Il contrasto allo stigma è trattato in modo superficiale e generico, senza indicazioni operative, strumenti, né campagne strutturate. Nessun riferimento a toolkit OMS o modelli europei (Time to Change, One of Us), né a programmi contro lo stigma da implementare non solo negli stessi servizi ma in tutta la filiera della salute. Alcune iniziative verso la popolazione generale vengono fatte, qualche cambiamento è stato ottenuto, ma lo zoccolo duro dello stigma alligna, anche nei servizi sanitari: spesso la salute mentale non riceve le dovute attenzioni delle Direzioni, spesso i pazienti che hanno anche una componente psichiatrica sono mal vissuti e ostracizzati dai colleghi di altre specialità, spesso gli stessi pazienti non hanno pieno accesso ai percorsi di screening per le patologie “mediche”. Infine, gli stessi servizi sociali dei Comuni operano una distinzione stigmatizzante tra utenti senza e utenti con disturbi mentali. Per non parlare dei percorsi giudiziari, e del difficile rapporto con le Forze dell’Ordine.

Una salute mentale come presidio di controllo delle contraddizioni sociali?

Il rafforzamento delle REMS, l’enfasi sulla sicurezza e sulla pericolosità rischiano di trasformare la psichiatria in un presidio di controllo, più che di cura, tradendo lo spirito della legge 180 e del modello comunitario. Alcuni movimenti sono già “naturali” nei percorsi di repressione del crimine: comportamenti criminosi raccapriccianti, abnormi nelle loro manifestazioni, incomprensibili (ad una prima lettura, generalmente massmediatica), sono ascritti in prima battuta alla malattia mentale: da qui il fioccare di richieste di informative ai servizi, di ricorso ai PS psichiatrici, di perizie psichiatriche “forzate” per trovare una soluzione sanitaria ad un problema difficile da gestire con gli ordinari strumenti sociali. Il rischio di psichiatrizzare ogni comportamento umano abnorme (parallelo alla confusione tra “disagio” e “malattia”) comporta pesanti ricadute sia sull’organizzazione dei servizi sia su una stigmatizzazione di ritorno che prelude al rischio di rinnegare i principi su cui si fonda il PANSM, determinando una neo-manicomializzazione (sia in termini architettonici sia, più pericolosamente, in termini culturali con il “manicomio territoriale”).

Formazione e ricerca (ma al servizio del SSN)

Un intero capitolo viene dedicato dal PANSM alla formazione e ricerca. Curiosamente, nel dibattito che accompagna l’attuale versione del PANSM, il tema viene poco trattato, se non in riferimento al grande bisogno di “riformare i percorsi formativi” per renderli più funzionali alle esigenze operative del personale del SSN. Una conferma dell’irrilevanza degli attuali assetti? In effetti, la dotta disquisizione che il PANSM ci offre avrebbe più senso in un documento del MUR, e non dà alcuna indicazione sui temi cruciali che condizionano l’efficacia dei Servizi, salvo per una sintesi svolta in premessa. Si conferma, in altri termini, la subalternità che il Ministero della Salute sconta nei confronti dell’Accademia, sul piano della reciprocità dei rapporti, sia in ambito assistenziale che didattico e di ricerca. Insomma, un’occasione sprecata per affrontare seriamente uno dei nodi centrali per il buon funzionamento del sistema di cura.

4. Proposte e visioni alternative: come rafforzare il PANSM

Tra i numerosi commenti critici non sono mancate le proposte di azioni correttive e integrazioni concrete, che il Collegio (in quanto associazione rappresentativa di operatori quotidianamente coinvolti nelle criticità descritte) condivide e rilancia:

  • Finanziamento strutturale dei servizi di salute mentale sia per colmare i profondi vuoti di organico, sia per intervenire sui luoghi in cui si pratica la salute mentale. Il Collegio DSM ha stimato nel 2024 in 2 Mld la cifra necessaria a regime.
  • Riconoscimento della psicologia delle cure primarie come primo livello di accesso, in sinergia con MMG e Case della Comunità e integrazione operativo/gestionale con le articolazioni del DSM. Questo dovrebbe determinare una riorganizzazione dei servizi previsti dal DM 77 e una revisione delle politiche di reclutamento del personale, che favorisca modelli flessibili in base ai bisogni reali del territorio servito.
  • Valorizzazione delle Comunità Terapeutiche come ambienti di cura residenziali complessi. Una rilettura della residenzialità e del ruolo delle CT, dopo molti anni dalle ultime linee di indirizzo, ci sembra necessaria: le CT dovrebbero definirsi in base a specifici progetti (target di utenza) uscendo da un modello generalista poco efficace, dovrebbero costituire una rete che favorisca la condivisione di best practice validate da studi scientifici nella proposta delle attività terapeutico-riabilitative, dovrebbero avere modelli di intervento che fin dal primo giorno di ingresso vedano la dimissione come obiettivo (e non, come spesso accade, la cronicizzazione con proroghe, trasferimenti, declassamenti di intensità di trattamento).
  • Inclusione strutturata degli ESP (Esperti in Supporto tra Pari) e co-progettazione dei servizi insieme a utenti e familiari. Siamo tutti consapevoli della delicatezza di questo processo, e quindi devono essere previste e normate adeguate linee formative ed autorizzative per permettere un impegno consapevole ed efficace degli ESP. Gli stessi, poi, dovrebbero trovare un ruolo formale riconosciuto anche a livello economico nei servizi, per la dovuta dignità dei loro interventi e il dovuto riconoscimento del valore non solo sociale ma anche sanitario della loro presenza.
  • Attuazione di campagne anti-stigma evidence-based, con indicatori e obiettivi misurabili. L’utilizzo di campagne mediatiche deve tenere conto dell’evoluzione della comunicazione sociale e dei diversi modelli comunicativi dei target di riferimento. Le campagne generaliste non sono più né sufficienti né efficaci. Bisogna affidarsi a nuovi strumenti, più vicini ai giovani, per creare una cultura anti-stigma fin dai primi anni; bisogna intervenire nei luoghi di aggregazione, sempre più informali nella attuale società liquida; bisogna creare occasioni di interesse per veicolare messaggi positivi; bisogna reinvestire in una socialità consapevole e matura.
  • Costruzione di un sistema informativo multidisciplinare, che includa dati delle Dipendenze, NPIA, disabilità, psicologia e territorio. L’assenza di dati epidemiologici standardizzati, tempestivamente diffusi a livello nazionale e di singola ASL non permette di comprendere i fenomeni né di programmare, secondo previsioni di tendenza, adeguate azioni sul piano organizzativo e degli interventi. Senza i numeri non si può programmare, e la realtà degli ultimi 40 anni lo dimostra ampiamente.
  • Definizione di un curriculum formativo per le figure professionali impegnate nei Servizi, continuamente aggiornato per rivelarsi adeguato alle odierne sfide assistenziali. Riassetto dei rapporti con le agenzie formative (Università, Centri pubblici e privati, Provider ECM) secondo criteri di leale collaborazione e piena trasparenza, anche in relazione ad eventuali conflitti di interesse.
5. Un Piano tra due visioni: cambiamento reale o aggiornamento di facciata?

l PANSM si presenta ambiziosamente come un documento di rottura con il passato, ma rischia di essere solo una continuità mascherata. Le parole chiave – integrazione, prevenzione, partecipazione, centralità della persona – non bastano, o rischiano di proporsi come slogan vuoti di contenuto, se non sono adeguatamente sostenute da:

  • risorse economiche adeguate;
  • governance realmente inclusiva;
  • riequilibrio tra le discipline coinvolte;
  • volontà politica di riformare le priorità del SSN.
6. Conclusione: la salute mentale non può restare una promessa incompiuta

Il PANSM 2025–2030 rappresenta un’importante opportunità, ma nella sua attuale formulazione non è sufficiente. Senza fondi, senza partecipazione e senza un cambiamento culturale profondo, il Piano rischia di essere solo una cornice senza quadro. Le parole “ad effetto” rischiano di svuotare i contenuti di cui abbiamo bisogno, tranquillizzando l’opinione pubblica ma lasciando sostanzialmente irrisolti i problemi. 

Serve oggi una salute mentale centrata sulle persone, sui diritti, sulle relazioni, capace di uscire dagli ospedali e tornare nei luoghi della vita quotidiana: scuola, lavoro, famiglia, comunità. Nel PANSM invece, il baricentro è sempre e ancora sull’ospedale, sui posti-letto. Il territorio viene citato, ma per dovere d’ufficio. Le funzioni di rete e di integrazione del territorio non sono adeguatamente sottolineate, e non sono perimetrate rispetto ad altri attori che sul territorio operano. E questo dopo più di 40 anni di esperienza territoriale.

Quello che non si respira in questa bozza del PANSM è la mancanza di orizzonti ampi del sistema salute mentale: un sistema che non si limiti a curare, ma che sappia prendersi cura.

Per il Collegio Nazionale dei Dipartimenti di Salute Mentale

Fabrizio Starace, Presidente

Giuseppe Ducci, VicePresidente

Federico Durbano, Segretario